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Casa in comune-Copia costruita al Gran P
Casa in comune (12).jpg

La casa in comune

 

Progetto con Alberto Magnaghi

Triennale di Milano

Anni:     1983

 

Catalogo della mostra "le case della Triennale 1983" (formato .pdf)

 

Se la comunità non vive ancora nel flusso di eventi, non c’è chiostro o falansterio o ballatoio che la possano evocare o materializzare. Ma se la comunità già esiste, già cerca negli anfratti e nei vuoti dei percorsi funzionali della metropoli il suo spazio concreto per vivere, allora la ricerca tipologica è evocazione, denominazione, rappresentazione di ciò che, sommersamente, già vive, ospite di gusci estranei e ostili. (Dal catalogo “Le case della Triennale” Electa). Abbiamo scelto quattro amici, militanti di “Potere Operaio” (gruppo politico della sinistra extraparlamentare attivo dal 1967 al 1972) e abbiamo chiesto loro di descriverci il loro sogno di casa.

Abbiamo con loro discusso le soluzioni, al piano terra volevamo rappresentare la loro identità collettiva, il loro identificarsi con un lavoro, un ideologia il loro rapportarsi con gli altri, al primo piano rappresentavamo la loro individualità più intima e privata. Diceva Grazia, femminista militante: … “Quando a otto anni mi hanno

dato una stanza era chiaro che si trattava del décore e di niente di personale: io mi sono nascosta dietro il letto e mi hanno cercata per tutta la notte, tale era l’estraneità con l’arredo… Bisogno di contrapporre allo spazio come rappresentazione che era anche lo spazio della fatica femminile uno spazio simbolico dell’esperienza

della conoscenza e degli stati di essere… Vorrei una camera da letto con un letto che assomigli a una nave.

Vorrei che ci fosse solo quello – una casa in cui c’è solo il luogo del riposo e dell’amore – non ci sono altre funzioni.

Importante che non si debba fare il letto tutti i giorni…lo spazio del collettivo: un piano dell’agio – una stanza che dà in una veranda e che praticamente è tutto un salotto per terra – stoffe, tavolini e tè. Uno spazio estetico, molto gradevole e molto comodo.
 

Capacità di guardare fuori – luci e piante… in questo erotismo”.

L’identità collettiva di Grazia si rappresenta attraverso un divano-stanza per riunioni femministe. Mi diceva sempre che le riunioni tra donne sono diversissime rispetto a quelle tra i militanti maschi “Loro sono rigidi, formali, retorici, noi donne discutiamo, ci tocchiamo, ci strusciamo, costruiamo un clima caldo affettuoso, senza inibizioni sensuali e il divano per riunioni femministe è un’ameba e un ventre insieme, scavato, ricco di erotismo, dove i corpi trovano la loro

nicchia e lì stanno insieme e si mostrano senza inibizioni proiettate attraverso il bow-window sullo spazio urbano. Il suo spazio privato al primo piano invece non ha finestra, la luce entra da un triangolo alto che impedisce lo sguardo dell’altro, e diceva: “nella mia intimità non voglio sguardi indiscreti” e la sua stanza è un letto-zattera con un comodino scrittoio per scrivere poesie perché sognava sempre di dormire in una zattera in mezzo al mare. Grazia Xerman è morta

drammaticamente alcuni anni fa e il divano per riunioni femministe è uno degli oggetti a me più cari. Con la stessa procedura siamo arrivati a progettare gli altri spazi cercando di dar forma a un diverso modo di abitare che la cultura militante ha prodotto e che le discipline del progetto hanno intenzionalmente ignorato.

 

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